(Immagine generata da DALL-E.)
Forse stiamo esagerando. Capisco gli insulti razzisti deplorevoli al povero Juan Jesus, ma addirittura mettere Acerbi in catene e portarlo in Bulgaria mi sembra troppo. Sarebbe stato meglio sospenderlo per dieci giornate costringendolo a fare interventi nelle scuole contro il razzismo, no? Dalla confusione che hai in testa non ho il coraggio di chiederti cosa hai mangiato a Pasquetta. Il calciatore dell’Inter Francesco Acerbi non è mai stato messo in catene, né tantomeno è stato portato in Bulgaria. Anzi è stato assolto per mancanza di prove televisive che confermassero la frase razzista detta al giocatore del Napoli nella partita del 17 marzo. Le manette di cui parli sono quelle messe in diverse udienze a Ilaria Salis, la 39enne insegnante precaria originaria di Monza e militante Antifa (non antifascista, Antifa che è un’altra cosa). Dal 14 febbraio 2023 Salis è detenuta nel carcere di massima sicurezza Gyorskocsi Ucta nel centro storico di Budapest, nello stesso edificio dove si trova il tribunale.
Ah, giusto era una donna. Ma come mai è in prigione in Bulgaria? È in carcere da circa un anno in Ungheria (non Bulgaria!) perché è accusata di procurate lesioni fisiche potenzialmente letali a un ungherese (Zoltán Tóth) e due tedeschi (Sabine Brinkmann e Robert Fischer), che avrebbe contribuito a picchiare con altre persone in due momenti diversi a Budapest il 10 febbraio, il giorno prima del Tag der Ehre (la “Giornata dell’Onore”), un raduno di neonazisti che si tiene ogni anno nella capitale ungherese per commemorare il tentativo fallito da parte delle forze naziste della Wehrmacht di interrompere l’assedio alla capitale ungherese da parte dell’Armata Rossa nel 1945. Le autorità ungheresi hanno vietato l’evento nel 2022, ma che si tiene comunque informalmente.
Che intendi per lesioni aggravate? Zoltán Tóth ha subito ferite alla testa, agli occhi, alla fronte e al collo guaribili in otto giorni secondo il referto medico. Mentre le ferite a Sabine Brinkmann e Robert Fischer sono simili ma di minore entità e guaribili in cinque giorni. Nessuno dei tre ha sporto formalmente denuncia, ma la procura di Budapest ha deciso comunque di procedere. Salis rischia fino a 24 anni di prigione.
Non è un po’ troppo per delle lesioni aggravate? In Ungheria per lesioni aggravate si rischia fino a 16 anni di carcere, ma ci sono due aggravanti che potrebbero aumentare la pena. Salis è accusata anche di aver potuto pregiudicare la vita di una delle vittime con il suo comportamento e di aver commesso le lesioni all’interno di una organizzazione criminale, il gruppo tedesco di estrema sinistra Hammerbande (“Banda del martello”), fondato nel 2017 a Lipsia, che negli ultimi anni ha compiuto diverse aggressioni mirate a neonazisti in Germania.
Che peccato, sarebbe stato un nome fighissimo per una band metal. C’è un precedente giudiziario: nel 2023 il tribunale di Dresda ha condannato la ventottenne Lina Engel, leader della Hammerbande, a 5 anni e tre mesi di carcere per sei aggressioni a colpi di martello, manganello e spray al peperoncino contro presunti neonazisti, di cui due ridotti in fin di vita. Secondo la procura di Budapest l’aggressione del febbraio 2023 ai tre cittadini in Ungheria sarebbe avvenuta con le stesse modalità, seguendo una sorta di metodo Hammerbande: attacchi brevi e intensi a neonazisti vicino ad aree affollate durante manifestazioni di estrema destra.
E chi ci dice che questa accusa sia vera? Magari Salis si è trovata in mezzo a uno scontro tra passanti. A febbraio la polizia ungherese non ha arrestato solo Salis. Assieme a lei anche due cittadini tedeschi, la ventottenne Anna Christina Mehwald e il suo fidanzato Tobias Edelhoff, trentenne. Mehwald si è proclamata innocente e verrà giudicata assieme a Salis il prossimo 24 maggio. Edelhoff invece ha confessato di essere colpevole delle aggressioni ed è stato condannato a tre anni di carcere. Sia l’accusa che la difesa, faranno ricorso. In totale la procura di Budapest ha emesso quattordici mandati di cattura internazionale, ma gli altri undici sono fuggiti dall’Ungheria prima dell’arresto. Uno di questi è il tedesco Johann Guntermann (“Gucci,” per gli amici), leader della Hammerbande dopo l’arresto di Engel, l’altro è il 23enne italiano Gabriele Marchesi arrestato a Milano il 20 novembre, ora ai domiciliari. Per Marchesi l’accusa è di lesioni personali e il Tribunale di Milano ha impedito l’estradizione in Ungheria.
Aspetta, prima di andare avanti ho bisogno di capire come sono andati i fatti, altrimenti non posso giocare a Perry Mason. Come sono andati i fatti davvero non lo so, però posso dirti il contenuto dei report stilati dalla polizia ungherese, tutti da verificare nel processo che partirà il 24 maggio. In tutto il gruppo Hammerbande avrebbe compiuto cinque attacchi in cinque luoghi a Budapest tra il 9 e l’11 febbraio 2023. Il primo attacco è avvenuto a piazza Fővám e non c’entra Ilaria Salis che non era ancora arrivata in Ungheria. Il sesto attacco a Batthány tér, una delle piazze più affollate di Budapest, non è avvenuto perché la polizia ungherese era già in allerta. Alcuni di questi attacchi sono stati ripresi dalle telecamere di sicurezza.
(Immagine generata da DALL-E per mostrare un uso migliore del nome Hammerband. Più band metal, meno lesioni aggravate)
Ho capito il quadro generale ma dimmi di Salis. Cosa ha fatto secondo la polizia ungherese? La mattina del 10 febbraio Salis è arrivata Budapest in treno partendo da Milano e passando per Vienna. Lo sappiamo perché ha acquistato il 5 gennaio i biglietti per lei e alcune delle dieci persone coinvolte, tra cui Gabriele Marchesi (quello che ora è ai domiciliari a Milano) e Romeo Anselmi. Con loro c’è anche un cittadino albanese cresciuto in Italia, Rexhino Abazaj. Secondo la polizia ungherese Salis e gli altri componenti del gruppo avrebbero incontrato il neonazista ungherese Zoltán Tóth nella piazza di Szell Kalman a Budapest, chiedendogli se avrebbe partecipato o meno alla “Giornata dell’Onore”.
E lui cosa ha risposto? Ha detto di no e si è diretto verso Piazza Gazdagrét dove è stato aggredito alle 12.25 da diverse persone che col volto coperto gli hanno dato almeno 13 manganellate, causando diverse ferite. Secondo l’accusa Salis avrebbe tenuto ferma la gamba della vittima mentre veniva picchiato dagli altri membri del gruppo. Le telecamere di sicurezza hanno ripreso tutta l’aggressione, ma i picchiatori avevano il volto coperto. Sempre il 10 febbraio, alle ore 22, almeno sei persone del gruppo si sono trovate davanti a un pub nel quartiere Budai Várnegyed dove si stava tenendo un concerto a porte chiuse riservato ai neonazisti. Alcuni membri del gruppo avrebbero seguito fuori dal locale due ragazzi tedeschi, Robert Fischer e Sabine Brinkmann, aggredendoli davanti alla loro abitazione, causando ferite guaribili in 5-6 giorni.
Sì, ok guaribili in 5-6 giorni ma sempre ferite sono. E gravi. Poi che è successo? Secondo la polizia il gruppo avrebbe affittato un appartamento nel centro di Budapest come base operativa, ma Salis non è mai entrata in quel covo. O almeno non abbiamo prove su questo. L’11 febbraio alle 15.30 i membri del gruppo si sarebbero ritrovati in piazza Batthyany per compiere un’altra aggressione ma la presenza degli agenti li ha dissuasi dal compiere azioni violente. Secondo l’accusa, poco dopo aver capito di essere seguiti dalla polizia, Salis e la coppia di fidanzati tedeschi Edelhoff e Mehwald hanno preso il taxi. Gli agenti però li hanno fermati poco dopo, mentre l’auto si trovava nel largo viale Teréz körút. Perquisendo il taxi, la polizia trova in auto un manganello telescopico, un’arma di autodifesa in acciaio o in alluminio composta da cilindri concentrici che si estendono per colpire e si comprimono per essere facilmente nascosti e trasportati. Secondo le ultime indiscrezioni la procura di Budapest ha proposto a Salis di patteggiare a 11 anni, ma il suo avvocato ungherese Gyorgy Magyar ha rifiutato.
Qual è la linea difensiva di Ilaria Salis? Lei si è definita innocente e nelle udienze si è sempre rifiutata di intervenire, limitandosi a respingere le accuse della procura. Secondo i suoi legali non ci sono prove inconfutabili del coinvolgimento di Salis nelle due aggressioni e le lesioni riportate dalle vittime non sono tali da giustificare l’accusa di tentato omicidio colposo. Infine non ci sarebbero prove della partecipazione di Salis al gruppo Hammerbande. Inoltre la difesa ha criticato alcune azioni della polizia e della procura irrispettose dei principi base dello stato di diritto.
Quali? Solo dopo la prima settimana di detenzione Salis ha ricevuto gli assorbenti, sapone e carta igienica, nonostante avesse già da giorni le mestruazioni. E solo dopo un mese e mezzo il Consolato italiano ha avuto la possibilità di darle un pacco con nuovi indumenti e beni di prima necessità. Il 28 febbraio 2023 due agenti in borghese hanno provato senza successo a interrogarla in carcere senza avvocato e interprete. Il 15 giugno Salis riesce a ottenere con tre mesi di ritardo un’ecografia e una mammografia per controllare un nodulo benigno al seno, ma né i suoi legali, né lei ricevono il risultato delle analisi. Solo dopo sei mesi a settembre del 2023 ha il permesso di telefonare alla sua famiglia con cui non ha avuto contatti diretti per sei mesi.
Ho letto da qualche parte che anche le condizioni in carcere erano pessime. In una lettera indirizzata ai genitori, Salis ha detto di essere stata costretta a indossare per giorni abiti sporchi e stivali non della sua taglia. Le cimici a letto inoltre le hanno procurato una reazione allergica. In generale ha descritto la prigionia come un pozzo profondissimo, una metafora usata dal fumettista Zerocalcare per disegnare una storia a fumetti ispirata alla sua storia. La versione di Salis sulle prigioni ungheresi è stata confermata anche dalla 43enne Carmen Giorgio che ha condiviso con lei la cella per quasi tre mesi: «Una sporcizia bestiale, urla, offese, persone trattate come cani. Topi, piccioni, cimici, catene, maltrattamenti e botte, lì dentro abbiamo visto di tutto, è un posto fuori dal mondo pieno di cose storte. E lei ha paura di restarci per sempre. Ragazze che rientravano in cella piangendo, con i lividi, perché erano state picchiate. Altre rinchiuse nell’isolamento della fogda: una stanza piccolissima videosorvegliata e solo con il letto da cui tolgono il materasso alle sei di mattina e te lo ridanno alle nove di sera», ha detto in una intervista a Repubblica.
(Immagine generata da DALL-E e ispirata a “Le mie prigioni” di Silvio Pellico. Questa cella è fin troppo pulita anche se apprezzo la retromania delle retromanie: scrivere a penna d’oca quando hai davanti una macchina da scrivere)
Perché Salis è in carcere se non è stata ancora condannata? Di solito gli indagati non restano in carcere, ma godono della libertà fino a quando non vengono condannati al terzo grado di giudizio perché esiste la presunzione di innocenza. Questo è un principio fondamentale della civiltà occidentale e dello stato di diritto. Solo in tre casi un indagato è costretto a stare in carcere: se c’è il rischio che inquini le prove, se c’è la possibilità che reiteri il reato o se il giudice pensa che possa fuggire. Le autorità ungheresi hanno deciso di tenerla in carcere perché pensavano potesse tornare in Italia.
Se lei è in carcere da più di un anno, perché ne abbiamo parlato solo negli ultimi mesi? Per una serie di ragioni. La prima è che tanti media internazionali hanno pubblicato foto e video delle catene ai piedi e le manette alle mani di Ilaria Salis nella prima udienza del processo a Budapest del 29 gennaio 2024, costringendo tutta la stampa italiana a riprendere la notizia. In tutte le cinque udienze tra preliminari e primo grado, Salis è stata sempre incatenata in aula di fronte al giudice. La precauzione presa dal tribunale ungherese è stata considerata unanimemente sproporzionata rispetto alla reale minaccia. La seconda ragione è che il caso da mediatico è diventato politico perché offre diverse chiavi di lettura che vanno dal suo mestiere, alle condizioni in carcere fino al governo Meloni e ai suoi alleati europei.
Spiegati meglio. Alcune notizie diventano dei filoni mediatici se hanno tanto materiale da sviluppare e soprattutto se toccano l’empatia dell’opinione pubblica. Nel caso di Ilaria Salis il processo è appena iniziato ci sono almeno tre piste seguite dai giornali. Primo, Salis è stata definita come una militante Antifa, una rete informale di gruppi e individui in Europa che condividono ideologie antifasciste e spesso ricorrono alla violenza, e questo stride con la sua professione di maestra elementare. Per anni ha partecipato alle attività del centro sociale Boccaccio ed è stata segnalata ventinove volte alle autorità giudiziarie per la sua condotta, venendo condannata quattro volte per sgomberi e occupazioni abusive. Questo è già di per sé una notizia e suscita curiosità.
Perché? Perché tutti iniziano a pensare che potenzialmente la maestra dei propri figli possa avere una vita radicalmente opposta da quella che mostra a scuola. Il secondo filone riguarda la lotta del padre per garantire condizioni umane alla figlia detenuta. A prescindere dalla colpevolezza di Salis molti italiani vogliono capire quali sforzi può fare il loro governo per tutelare i diritti di un’italiana all’estero, in particolare se in prigione. Il paragone con ciò che fanno gli Stati Uniti con i loro cittadini arrestati o condannati è manifesto. (Qualcuno ha detto Amanda Knox?). Anche perché mesi e mesi prima il padre di Salis ha chiesto al governo Meloni di intervenire per migliorare le condizioni di detenzione della figlia.
E la terza? Il caso Salis è diventato politico perché molti hanno usato questa vicenda per contestare la scelta di Giorgia Meloni di allearsi con il premier ungherese Viktor Orbàn considerato un leader illiberale di un paese che non rispetta lo stato di diritto nonostante sia uno Stato dell’Unione europea. Molti editorialisti hanno chiesto a Meloni di intercedere per Salis chiamando Orbàn al telefono. La presidente del Consiglio lo ha fatto senza ottenere risultati, dimostrando che la politica è un potere separato da quello giudiziario e che l’alleanza tra sovranisti in Europa non si traduce automaticamente in favori politici. Per i laureati in Scienze Politiche una discussione del genere è interessantissima e sofisticata, tutti gli altri invece si chiedono perché Meloni non abbia fatto di più. La risposta è che non può fare più di così perché l’Ungheria è un paese sovrano e indipendente. Lo stesso vale per l’Italia: la procura di Milano ha rifiutato l’estradizione di Gabriele Marchesi in Ungheria perché avrebbe rischiato condizioni degradanti in carcere.
Cosa si può fare concretamente per migliorare la condizione di Salis? Ci sono due piste possibili, una giudiziaria, l’altra politica. La prima è stata percorsa senza successo dai genitori di Ilaria Salis che avevano raccolto 40mila euro per la cauzione e avevano affittato una casa a Budapest per permettere alla figlia di andare ai domiciliari. I genitori avrebbero garantito la presenza di energia elettrica in casa per garantire il funzionamento del braccialetto elettronico, giustificando il trasferimento con l’assunzione della figlia in una onlus. Ma il giudice ungherese Jozsef Sos ha respinto la richiesta perché pensa che Salis possa fuggire in Italia, sostenendo che tredici mesi di detenzione preventiva non siano poi così tanti.
L’altra soluzione? Tutta politica. Il ministero degli Esteri potrebbe trovare un accordo col governo ungherese per espellere Salis dal paese una volta condannata, permettendole di scontare il resto della pena in Italia. Questa è l’unica opzione possibile, ma per farlo serve un certo silenzio mediatico per permettere al governo ungherese di non subire pressioni interne. Però far cadere l’attenzione sul caso Salis rischierebbe anche di interrompere la pressione sul governo italiano ed è ciò che non vogliono i genitori di Salis, in particolare il padre.
Ho sentito molto parlare di lui, perché? Perché in questi mesi ha cercato in tutti i modi di attirare l’attenzione dei media e della politica per evitare alla figlia la carcerazione preventiva. Il 22 marzo del 2023 ha inviato una mail di posta elettronica certificata (pec) alla presidente del Consiglio Meloni, senza risposta. Il 1 dicembre 2023 ha inviato una pec al ministro della Giustizia Carlo Nordio, senza risposta. Il 10 dicembre 2023 riscrive a Meloni, Nordio e pure al ministro degli Esteri Antonio Tajani, non ricevendo una risposta ufficiale. Il 17 gennaio ha scritto una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre la zia di Ilaria, Carla Rovelli, scrive una lettera a Papa Francesco. Grazie al paziente lavoro dei parenti, il governo italiano ha finalmente iniziato a cercare una soluzione politica. Negli ultimi giorni Mattarella ha addirittura telefonato a Roberto Salis, dichiarando la sua vicinanza e spiegando che «la differenza tra il nostro sistema, ispirato ai valori europei, e il sistema ungherese ha determinato una disparità che non può che colpire me e la pubblica opinione». Ma il Capo dello Stato ha chiarito che non può intervenire direttamente.
Simpatizzo con la lotta di Roberto Salis, ma sè sua figlia ha commesso il reato, deve pagare. Il punto della vicenda non è questo, ma un concetto più alto: qualsiasi detenuto ha bisogno di essere trattato come un essere umano, a prescindere dal reato commesso. Ci sono molte cose che non tornano nella sua vicenda (Cosa ci faceva a Budapest proprio quei giorni? Perché condivideva il taxi con una persona che ha ammesso di aver aggredito altre persone?) ma ha il diritto di non essere trattata come un animale. In questi mesi le autorità ungheresi hanno compiuto una serie di soprusi evitabili.
Fammi due esempi e chiudiamo. Come riporta l’ottima cronologia dei colleghi di Repubblica, il 5 settembre Salis ha provato a iscriversi alla scuola elementare per imparare l’ungherese ma la sua richiesta è stata rifiutata perché non parla l’ungherese. A maggio del 2023 Salis ha partecipato per un mese a un laboratorio in carcere ma a differenza delle altre detenute non ha ricevuto 2,50 euro per ogni appuntamento. Sono piccole, piccolissime cose che però si aggiungono ai tanti, tantissimi soprusi. Una società matura dovrebbe garantire anche al peggiore dei suoi criminali un trattamento umano. Ci sarebbe una terza strada per far uscire Salis da quel carcere di massima sicurezza, ma è la più controversa di tutte.
Quale? Candidarla alle prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno. Se fosse eletta, Salis otterrebbe l’immunità parlamentare che impedisce agli eurodeputati di essere arrestati o di subire restrizioni alla loro libertà, tra cui la carcerazione preventiva. Il processo non sparirebbe magicamente, ma Salis potrebbe affrontarlo da donna libera in attesa di giudizio. Il Partito democratico ci sta pensando ma potrebbe rivelarsi un boomerang perché oltre alla militanza Antifa di Salis che già di per sé è controversa, non sappiamo se lei sia innocente o colpevole. Il suo trattamento in carcere è disumano, ma se nelle prossime udienze le vittime delle aggressioni dovessero dare dettagli sulla sua condotta, il rischio sarebbe quello di aver dato l’immunità e la libertà a una persona che ha commesso un reato.
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